Appena arrivato fui messo in isolamento per tre giorni, ero pieno di rabbia per quello che mi stava succedendo, ma ero fermamente convinto che sarei riuscito a superare tutto questo, da solo, senza l’aiuto di nessuno. Poi sera dopo sera, guardando fuori dalla finestra mi sentivo sempre più triste e disperato. La tribolazione e lo sconforto avevano preso il sopravvento, mi sentivo abbandonato e pensavo che nessuno avrebbe creduto alla mia versione dei fatti! Fu allora che il mio pensiero andò a Gesù: Lui era il mio nuovo, unico compagno di cella, a Lui chiedevo di darmi un segno, di farmi capire che prima o poi la giustizia avrebbe prevalso, nonostante le dinamiche poco chiare della situazione. Mi bastava sentire che Lui c’era, che stava dalla mia parte.
Un giorno notai che un Agente di Polizia Penitenziaria, in servizio nel mio braccio, stava pregando tenendo in mano una coroncina del Rosario: per me fu quello il segno, la risposta che attendevo! Cominciai a parlare con questa persona, a chiedergli di più sulla preghiera, chiesi anche perché tenesse in mano la coroncina tutte le sere. Mi rispose che quella era la sua forza, che pregava Maria così gli domandai se una volta avremmo potuto recitare insieme il Rosario; la sera successiva venne nella mia cella e iniziammo a pregare, coinvolgendo anche gli altri quattro compagni. Durante la recita del secondo mistero, iniziò a parlare in modo strano, incomprensibile, tanto da suscitare ilarità negli altri. Incuriosito gli chiesi che lingua aveva usato e lui mi spiegò che era “la lingua dello Spirito, un dono che il Signore concede per grazia” . Iniziai a scrivere delle lettere ai miei genitori, con la certezza nel cuore che Dio non mi avrebbe abbandonato, che la verità e la giustizia avrebbero trionfato, improvvisamente ero diventato io quello che dava coraggio ai miei familiari. A loro ed in particolare a mia zia Filomena che frequentava già in quel periodo la Comunità, chiedevo preghiere costanti, affinché il progetto di Dio potesse realizzarsi.
Finalmente, dopo essere stato sentito tante volte dai giudici, nell’arco di sei lunghissimi mesi, fui affidato al Servizio Sociale e mandato in una “Comunità Penale per il recupero dei giovani”, che era nella mia provincia. Lì continuai a recitare il Rosario, ogni giorno coinvolgendo altri miei coetanei. Dopo alcune settimane per la prima volta tornai a casa per il week-end: la gioia di riabbracciare i miei genitori fu grande, ma ancora di più la possibilità di recarmi in preghiera a Palma, dove si riunisce la Comunità.