Incontro Nazionale Giovani: Rimanete in Me e Io in Voi

Cinquecento ragazzi dai 14 ai 35 anni, provenienti da tutta Italia, riuniti sotto il segno di una parola potente: “ Rimanete in me ed io in Voi” (Gv 15,4) . Teatro di questa due giorni di incontro l’Istituto Fraterna Domus, di Sacrofano, alle porte di Roma. Già dal primo momento di preghiera i nostri cuori hanno avvertito che il Signore voleva operare cose grandi, conversioni, guarigioni, liberazioni ma soprattutto voleva rinnovare la chiamata personale e comunitaria, il sì allo stare dalla sua parte a compiere scelte mature superando ogni forma di giudizio verso noi stessi e verso gli altri.

Sulla scia di questo messaggio, nel pomeriggio Roberto, membro del CNS, ha tenuto una relazione sui tre brani proposti come spunto di riflessione per l’incontro (Giovanni 15, 4 – Galati 5,16-17 – Ebrei 3,13-14 ) ritornando sull’importanza del concetto di “Rimanere”. “Attraverso la Grazia, – ha detto- malgrado i nostri limiti godiamo della fiducia di Gesù, della stima che Egli ha per noi perché abbiamo risposto alla sua chiamata ; è’ proprioquesto che ci spinge a rimanere  uniti a Lui e solo così si può’ realizzare quella comunione perfetta tra Creatura e Creatore, tra vite e tralcio” . Non più servo e padrone ma Padre e figlio, in una fusione d’amore dove ciascuno di noi è parte attiva. Ma non possiamo rimanere in Lui contando solo sulle nostre forze perché la carne ha desideri contrari allo Spirito. Ecco allora la scelta adulta che il Signore ci chiama a fare nonostante la nostra giovane età: superare questa forma di infantilismo spirituale, e mantenere una coerenza nella fede, nelle cose di Dio, che va oltre il momento di incontro a Sacrofano, o il momento di preghiera che ciascuno può vivere nelle proprie comunità di appartenenza. Lui è la Vera Vite, ce ne sono tante false  ma l’invito di Gesù è proprio quello di interrogarsi su quante volte scegliamo una vite che non porta frutto. Quindi è stata ribadita l’importanza dei sacramenti, della Parola che non va solo ascoltata ma “agita”, del cammino spirituale fatto con costanza, con umiltà, accogliendo ogni correzione che ci viene fatta dai nostri pastori, dai responsabili. Infine fondamentale l’imparare ad “essere Comunità”, esortandoci a vicenda, ad essere vigilanti nei confronti del fratello, per fare scudo contro le seduzioni del peccato.

Al termine della relazione, i gruppi di confronto suddivisi per fasce d’età dove ci si è interrogati su alcune questioni: quali sono i momenti che ci separano da Gesù? Riusciamo ad accorgerci della separazione di un fratello da Gesù e in che modo lo aiutiamo? Infine se si è consapevoli dell’aiuto che la Comunità ci offre per rimanere uniti a Cristo. Molto vissuta la Santa Messa, nel pomeriggio di sabato, presieduta da Don Marco Vianello, Assistente Spirituale della Comunità. Anche lui nell’omelia ha insistito sulla differenza che c’è tra  “rimanere con “ e “rimanere in”. Rimanere – ha affermato Don Marco- presuppone restare in un luogo dove si è già stati, dove si è già vissuta un’esperienza d’amore grande e insperabile da cui e’ partito il nostro cammino del quale è importante fare memoria. Inoltre se “rimanere con” significa “stare dalla parte di”, essere vicino di cuore, “rimanere in” rappresenta un salto di qualità, il raggiungimento di un traguardo alto, la comunione profonda d’amore eterno, quella trinitaria. L’obiettivo della Comunità è che tutti entrino in questa dinamica d’amore e comunione per “restarci”; rimanere nella Trinità significa rimanere nella Chiesa sperimentando la libertà di essere figli. E se rimaniamo… è allora che possiamo andare, divenendo davvero suoi discepoli. Per rendere con un segno tangibile questo amore, la Comunità ha distribuito a ciascuno un piccolo lucchetto, da attaccare durante la comunione a quattro basamenti posti ai piedi dell’altare. In realtà si tratta di un gesto molto noto tra i giovani, soprattutto romani. A Roma infatti c’è un posto, Ponte Milvio, dove ogni giorno decine di coppie di giovani innamorati vanno a mettere il loro lucchetti, simbolo di un amore grande, indissolubile, o quanto meno con buone premesse: è un modo per dire io e te insieme da qui in poi! Non abbiamo voluto reiterare una moda, ma solo “prendere in prestito” il lucchetto come simbolo di un unione tra noi e Gesù. Il Signore, il nostro innamorato, lo tiene chiuso per sempre come vincolo che sigilla il “rimanere insieme”. A noi viene data la chiave, prova inconfutabile della vera libertà che Dio ci ha donato: siamo noi che dobbiamo scegliere se aprire o meno quel lucchetto e decretare il nostro distacco dall’innamorato.

Domenica, altra giornata potente, scandita da una preghiera che ha completato questo percorso di incontro tra noi e Gesù. Egli è venuto a purificare lo Spirito, a spezzare legami, a scacciare gli idoli che ogni giorno frapponiamo tra noi e Lui. Molti giovani si sono accostati al sacramento della riconciliazione, molti hanno messo sotto la croce oggetti particolari a cui erano legati in modo non sano, come portafortuna, ma anche pacchetti di sigarette, ecc… Perché per stare con Gesù bisogna anche provare ad essere migliori e perché il rapporto funzioni c’è bisogno della volontà di volersi far plasmare di nuovo, come il vasaio fa con la creta…

Spetta a Ciro, altro membro del CNS, la relazione conclusiva: uno sguardo completo su tutte le problematiche spirituali e umane già affrontate durante i gruppi di confronto. “Nel percorso di conversione personale, nel quale si innesta il desiderio vocazionale di essere un Corpo, – ha detto Ciro- si può vivere l’illusione di poter gestire la nostra vita e la nostra chiamata a livello personale, ma senza Cristo il tralcio avvizzisce”. Si realizza la Grazia solo permettendo a Cristo di radicarsi in noi, lasciandolo penetrare nell’intimo del nostro animo, nella nostra vita e quindi abbandonando la nostra condizione di “tralcio” per divenire “tronco”, Corpo appunto. L’appartenenza al Corpo – ha proseguito- non ci garantisce a prescindere una fertilità spirituale perché fondamentale è “essere corpo”, portare frutto ed essere discepoli è questo che determina la chiamata. Quindi l’invito a vivere il dinamismo dell’amore che è donazione, perdono, compassione, comprensione e tanto altro, rifiutando tutto ciò che ci porta lontano dall’essere corpo: ovvero il sentirci “onnipotenti”, il giudizio, l’invidia, il desiderio sfrenato di amore che ci spinge a svenderci per piacere a tutti e a tutti i costi, la mancanza di umiltà, di preghiera quotidiana, l’assenza dei sacramenti. Tutto questo genera una fessura di separazione che lentamente ci porta lontani dal progetto di Dio che ci ha scelto per essere suoi testimoni. Dunque di nuovo, esortarsi, sostenersi, incoraggiarsi, proteggersi, essere una famiglia pulsante nell’amore che si dona, si perdona, si corregge. “Siamo diventati infatti partecipi di Cristo, a condizione di mantenere salda sino alla fine la fiducia che abbiamo avuta da principio” (Ebrei 3, 14) Questa è la condizione per essere Corpo, aiutare il fratello a vivere nel profondo la profezia che ha animato il nostro XX Convegno Nazionale: “Non sono più io che vivo ma Cristo che vive in me”.