Negli anni in cui sono stato lontano dal Signore ho sempre avvertito che c’era un gusto inspiegabile e silenzioso, quasi impercettibile nel fare le cose, nell’occuparmi dello studio prima e del lavoro poi, (persino nello sbrigare le pulizie di casa!), ma allo stesso tempo ero costantemente condotto a dovere ascoltare, sulla scia anche dei luoghi comuni e di un impietoso giudice interiore, le “urla” del risultato ad ogni costo. Così, senza accorgermene mortificavo quella parte, forse meno evidente, ma di certo più autentica e tenace che sentivo dentro di me e sacrificavo ogni anelito di altruismo, amore, comprensione, ascolto degli altri che, paradossalmente, andavano inesorabilmente assumendo i connotati di un impedimento – se non di una minaccia – ai miei obiettivi. Per usare le parole del nostro pontefice Benedetto XVI, avevo deciso di attingere all’ “aceto dell’autosufficienza” piuttosto che accettare di godere del “dolce vino della dipendenza da Gesù”.
“Frate Leone, scrive, questa non è perfetta letizia!”, il risuonare di queste parole di San Francesco al suo fedele confratello per spiegare che la conquista di qualsivoglia alloro non varrà mai quanto la “sana tribolazione” per conquistarlo, ha liberato in me durante la lettura di questo brano dei “Fioretti” una gioia mista a pianto nel contemplare con quale amore Dio mi svelava gli errori commessi in una vita trascorsa nell’ignoranza, lontano dalla Sua ombra pensando che l’eccellenza fosse una ricetta ripetibile a piacere al momento del bisogno e senza invece soffermarmi sulle condizioni che la determinano tutte interiori e donate, del cielo e non mai della terra.
San Francesco mi ha saputo far ricordare che sono un figlio amato e che in quanto tale sono chiamato a preoccuparmi dell’impegno e non del rendimento, perché c’è un Padre che ricompensa non per le opere, ma per l’allegria nell’affrontare il peso del nuovo giorno e che la “paga” non è data all’opera, ma all’umiltà che emerge dalla fatica spesa per esercitare le virtù umane. Condividere questo ulteriore passo verso la conversione con i fratelli della comunità che erano con me ad Assisi, non ha fatto che aumentare la pienezza della mia gioia, nello scoprirmi, davanti a Dio, spogliato del vecchio vestito ma anche delle mie costruzioni mentali, capace di amare, di donare me stesso agli altri, consapevole soprattutto che il Signore mi ama così come sono.